GREXIT E I SONNAMBULI EUROPEI
barbara spinelli
Dice
Christine Lagarde, mettendo in guardia la Grecia in nome del Fondo
Monetario, che “possiamo riavviare il dialogo solo se ci sono adulti
nella stanza”. Paradossalmente ha ragione: ci sono troppe persone
incaute, troppi esperti economici privi di memoria storica e coscienza
geopolitica, nelle stanze dove da mesi si sta decidendo il destino non
tanto di Atene, quanto dell'Unione. Perché quando si discute dell'euro e
delle sue regole, quando si invocano istituzioni europee più solide
senza mettere in questione i parametri chiamati a sorreggere la moneta
unica, è di tutta l'Europa che si parla e non di un singolo Paese in
difficoltà.
Non
è completamente adulto il FMI, che difende a oltranza riforme
strutturali giudicate dal Fondo stesso nocive e controproducenti, dunque
sbagliate, fin dal 2013. Non sono adulti coloro che agitano lo spettro
del Grexit, fingendo che sia una cosa facile, seminando panico nei
risparmiatori greci, disinformando sul caos che regnerebbe nella Banca
centrale ellenica. I Trattati dell'Unione e lo statuto della Bce non
prevedono uscite unilaterali dall'Euro, a meno che il Paese a rischio
bancarotta non decida preliminarmente di abbandonare l'Unione stessa. Cosa che il governo greco non ha alcuna intenzione di fare. Cacciarlo non si può.
La
verità l'ha accennata Mario Draghi, il 15 giugno nel Parlamento
europeo, chiedendo che a sciogliere i nodi siano i politici
dell'Eurogruppo e non i banchieri centrali. Si è guardato dal proporre
alternative serie, ha ripetuto che “la palla resta inequivocabilmente in
campo greco”, e con ciò è stato più “politico” di quanto pretendesse,
ma ha ammesso che in caso di ulteriore deterioramento dei negoziati
“entreremmo in acque inesplorate”.
Le
pressioni che si stanno esercitando su Atene, perché comprima ancor più
spesa pubblica e pensioni già ridotte al minimo, conferma che l'Unione è
guidata da poteri sprovvisti di senso della responsabilità. Se fossero
adulti, quei poteri inviterebbero nelle stanze dei negoziati persone che
abbiano senso storico, e soprattutto memoria. Persone con una visione
centrale e un forte principio ispiratore, consapevoli del fatto che la
storia è tragica, memori dei disastri passati e lucide sui pericoli
incombenti: lo sfaldarsi dell'Unione, e della sua forza di attrazione
presso i propri cittadini. Ci sarebbero, seduti al tavolo delle
trattative, esperti geo-strategici, ed economisti sistematicamente
disprezzati, anche se in questi anni non hanno sbagliato previsioni,
come i due premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman. Tra coloro che
insistono nel chiedere al governo Tsipras riforme strutturali già
compiute non si annoverano economisti preveggenti ma piccoli politici
che pur di conservare il potere rimangono pigramente appesi a dottrine
dell'austerità al tempo stesso egemoniche e defunte, perché smentite da
fatti di cui non si vuol tenere conto. Il prodotto interno lordo della
Grecia, calcolato a prezzi costanti, è già calato del 27% a seguito
dell'austerità, il debito pubblico è salito al 180% del Pil, e la
disoccupazione è giunta al 27%.
Gli
esperti in geopolitica aiuterebbero a capire la centralità della Grecia
in un'Europa alle prese con un caos, alle proprie frontiere orientali e
meridionali, che non sa e non vuole affrontare autonomamente, prendendo
le distanze da una strategia statunitense che coscientemente resuscita
la guerra fredda con la Russia e che al di là del Mediterraneo ha
contribuito a creare un arco di destabilizzazione esteso dall'Africa
subsahariana fino all'Afghanistan. La Grecia è ai confini con questo
mondo, all'incrocio tra Balcani, Medio Oriente, Siria. I suoi legami con
la Russia sono forti e antichi. L'avversione del governo Tsipras alle
guerre contro il terrore, e oggi a interventi militari in Libia per
smantellare le reti di trafficanti, è ben conosciuta a Berlino e Parigi.
Non meno conosciuta è la sua avversione al Trattato transatlantico sul
commercio e gli investimenti (Ttip). Qualcuno forse nell'Unione vuol
perdere Atene proprio per questi motivi. Ma la perdita sarebbe un
suicidio geopolitico dell'Europa.
Se
non vuole continuare a essere una pedina delle amministrazioni Usa e
precipitare in una nuova guerra fredda, se vuole guardare con occhio
freddo alla questione ucraina – riconoscendo che da un'oligarchia
filorussa si è passati a un'oligarchia legata a estreme destre
russofobe – l'Europa non può fare a meno della Grecia. Non può farne a
meno neanche sulla questione immigrazione. Il nuovo governo ellenico sta
affrontando un afflusso di migranti e richiedenti asilo ben più pesante
e improvviso di quello italiano. Lo fa senza cedere a impulsi xenofobi.
È non solo scandaloso ma immensamente ottuso giocare con l'ipotesi di
un Grexit, e tacere sull'Ungheria che il 17 giugno ha annunciato la
costruzione di un muro lungo 175 chilometri, ai confini con la Serbia,
per fermare l'ingresso di profughi e migranti.
Mancano infine persone con un minimo di cultura generale, al tavolo delle trattative. In un articolo uscito il 16 giugno sulla Welt,
il commentatore Jacques Schuster mette in guardia i connazionali
tedeschi sostenendo che Tsipras si sta rivelando uno dei politici più
astuti e abili d'Europa. In che consistono quest'astuzia e
quest'intelligenza? Nel sondare l'anima tedesca, e nel profittare
malvagiamente e furbescamente dei “nervi deboli” della Germania. Non
potrebbe essere altrimenti, perché “i greci sono un popolo di
naviganti”, e i naviganti “sono abituati a fluttuare nelle acque, e a
oscillare sull'orlo del baratro”.
Articoli
del genere sono allarmanti. Tornano parole del primo anteguerra, con le
sue allusioni psico-etniche alla “nervosità” di singoli popoli
personificati. E torna la distinzione tra mare e terra prediletta da
Carl Schmitt negli anni '30 e '40 del secolo scorso: tra popoli senza
legge abituati a dondolarsi negli oceani e civiltà ben ancorate alla
terraferma, capaci conseguentemente di darsi il nòmos, la legge e le regole necessarie.
I
capi europei sembrano venire da quelle epoche, monarchi che come
ubriachi si lasciano tentare da simili vocabolari bellicosi senza averne
coscienza. Il futuro dell'Europa è troppo importante per essere
affidato a sonnambuli esperti solo in teorie economiche defunte. Essere
adulti, in Europa, è riconoscere le acque non solo inesplorate ma
melmose in cui rischiamo di entrare.
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