Alessandro Capuzzo
Di Rete Italiana per il Disarmo condividiamo:
Iraq, Gaza, Libia: i conflitti e le crisi umanitarie non si risolvono
inviando armi ma costruendo soluzioni vere.
La legge italiana vieta l’esportazione di
sistemi militari verso i Paesi in stato di conflitto armato e ribadisce che
eventuali diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri sono da adottare
solo dopo aver consultato le Camere.
“I conflitti e le crisi umanitarie che da settimane stanno scuotendo
diversi paesi del nord Africa e del Medio Oriente (Striscia di Gaza, Libia,
Iraq, Siria ecc.) non si risolvono inviando armi, ma sospendendo le forniture
di sistemi militari a tutte le parti in conflitto e
costruendo con impegno soluzioni vere e condivise”. Lo
afferma con una nota la Rete Italiana
per il Disarmo che, anche in considerazione delle crescenti esportazioni
dall’Italia di armamenti nella zona mediorientale, ricorda al Governo come la
normativa nazionale ed europea vieti espressamente l’invio di sistemi militari
verso i Paesi in stato di conflitto armato.
Se è certamente positivo il
richiamo espresso dal ministro degli Esteri, Federica Mogherini, affinché l’Unione europea adotti una posizione
comune sulle varie crisi in atto in Medio Oriente e
che la Farnesina
abbia stanziato nei giorni scorsi 1 milione di euro alle
organizzazioni umanitarie dell’Onu per attività di prima assistenza degli
sfollati nel nord dell’Iraq, è invece quanto mai preoccupante che la titolare
della Farnesina abbia
comunicato che l’Italia sta valutando “forme di sostegno
dell’azione anche militare del governo del Kurdistan iracheno”, non escluso l’invio
di armi e di sistemi militari.
Rete Disarmo ricorda che la normativa italiana (la legge n.185 del
1990) vieta espressamente l’esportazione di materiali di armamento “verso i
Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo
51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi
internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei
Ministri, da adottare previo parere delle Camere” (art. 1 c. 6). Proprio
per questo Rete Disarmo chiede al Governo di riferire al più presto in
Parlamento su questa materia anche in considerazione delle conclusioni espresse
ieri dal Comitato
Politico e di Sicurezza dell’Unione europea (qui in .pdf) e del meeting
straordinario del Consiglio degli Affari Esteri di venerdì
15 agosto.
“E’ necessario un intervento dell’ONU molto più ampio,
e di ognuno tra Ong e istituzioni che abbia la possibilità di raggiungere
queste persone, prima di assistere all’ennesima catastrofe umanitaria, che
purtroppo non interessa soltanto l’area di Sinjar e il confine con la Siria” ha
sottolineato in una nota “Un Ponte per”
l’organizzazione membra di Rete Disarmo da anni impegnata per il supporto
delle popolazioni irachene.
L’urgenza di creare corridoi umanitari
per soccorre le popolazioni nel nord dell’Iraq, in particolare cristiani e
yazidi perseguitati dai combattenti dello Stato Islamico
(ISIS), non può giustificare un sostegno militare alle milizie curde Peshmerga
o raid aerei su aree popolate. Come
richiamato dagli organismi dell’Onu, la “responsabilità di
proteggere” (Responsibility to protect) le popolazioni dal pericolo di massacri
non ricade solamente sul governo iracheno, ma sull’intera comunità
internazionale. L’Unione europea non può continuare a delegare questa
responsabilità ad altri, ma deve cominciare lavorare
seriamente per predisporre unità di pronto intervento e di interposizione razionalizzando l’impiego delle
proprie forze armate nazionali.
“Se 28 eserciti nazionali non
sono in grado di fornire unità di pronto intervento per proteggere delle
popolazioni inermi che rischiano di essere sterminate c’è da chiedersi quale ne sia l’utilità: delegare l’intervento militare
a milizie composte da gruppi che, per quanto
integrati in eserciti regolari perseguono anche proprie finalità politiche,
può essere rischioso e controproducente” sottolinea Francesco Vignarca
coordinatore di Rete Disarmo.
Rete Disarmo rinnova inoltre la richiesta al governo
italiano di sospendere
l’invio di tutti i sistemi militari ad Israele. Durante la riunione
straordinaria dello scorso 23 luglio, il Consiglio per i diritti umani dell’Onu si è espresso a favore di un’indagine su
possibili violazioni del diritto umanitario nel conflitto nella
Striscia di Gaza: fino a quando non si avranno i risultati dell’indagine l’Italia
deve astenersi dal fornire sistemi militari a
Israele e sospendere le esercitazioni militari
congiunte previste in Sardegna per il prossimo autunno. In proposito va
segnalato che la Spagna
ha già deciso di sospendere in via cautelare l’invio di armi e il
Regno Unito, dopo aver reso nota una revisione
delle proprie esportazioni militari per le forze armate israeliane, ha
dichiarato un possibile blocco di una dozzina di licenze di
esportazione di materiali militari impiegati da
Israele nel conflitto a Gaza. L’Italia,
invece, che è il
maggior fornitore nell’Ue di
sistemi militari a Israele, non solo non ha annunciato alcuna restrizione, ma
il Ministero degli Esteri ha eluso la questione dichiarando
in Parlamento che
“l’Italia non fornisce ad Israele sistemi d’arma di natura offensiva”.
“Tutta la materia delle
autorizzazioni all’esportazione di sistemi militari necessita invece di un
approfondito controllo parlamentare che manca ormai da oltre un lustro” –
sostiene Giorgio Beretta, analista dell’Osservatori OPAL di Brescia. “Nel frattempo la normativa
nazionale è stata ampiamente modificata e la relazione che Presidenza del
Consiglio invia annualmente alle Camere ha subito pesanti modifiche. Ma soprattutto le forniture di sistemi
militari italiani sono sempre più indirizzate verso le zone di forte
tensione del Medio Oriente e del nord Africa. E’ perciò quanto mai necessario e urgente che le
competenti commissioni del parlamento riprendano il controllo dell’attività del
Governo in questa materia che riguarda direttamente
la politica estera e di difesa del nostro paese”.
“Mentre da alcune parti anche del
mondo cattolico si auspicano maggiori forniture di armi nella regione ci chiediamo come si possa pensare di portare
pace inviando armi - dice don Renato
Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi - Credo che chi sostiene
l’invio di armi sia più interessato ai ritorni commerciali che non alle vittime
del conflitto. In un’audizione alla Camera dei Deputati a Roma, il 19 gennaio
2011, il Vescovo ausiliare di Baghdad
aveva lanciato un appello già allora con toni disperati, con una richiesta
specifica: non inviate armi. Sono passati diversi anni, non vogliamo che
quell’appello continui ad essere inascoltato”.
Per
contatti stampa
d. Renato Sacco
Via alla Chiesa 20 - 28891 Cesara - Vb
0323-827120 *** 348-3035658
drenato@tin.it
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