Oggi, 101 anni fa, colpi
di pistola echeggiarono in una città dell'Europa del Sud. Pochi al
momento prestarono molta attenzione alll'assassinio dell'arciduca
Francesco Ferdiando e sua moglie, mentre percorrevano le strade di
Sarajevo.
Entro 6 settimane l'Europa
era in guerra.
Non commettete l'errore,
la decisione di Aleksis Tsipras di tenere un referendum sui termini
del salvataggio richiesti al suo Paese, ha il potenziale di essere un
momento come Sarajevo. Questa crisi non è semplicemente se ci sarà
una corsa agli sportelli in Grecia il prossimo paio di giorni, anche
se certamente ce n'è la minaccia. Non è semplicemente se i
creditori hanno alzato troppo la posta nei negoziati, anche se
l'hanno fatto. E' sul futuro dello stesso euro.
Si farà molto parlare nei
prossimi giorni su come la Grecia possa essere messa in quarantena.
Le tre persone che hanno condotto i negoziati per la Trojka -
Christine Lagarde, del FMI, Jaen-Claude Juncker della Commissione
Europea, e Mario Draghi della BCE - possono ancora attaccarsi alla
speranza che Tsipras perda il referendum domenica prossima.
In queste circostanze, la
coalizione capeggiata da Syriza, avrebbe poca scelta al di fuori di
tenere nuove elezioni. Il ritorno di un governo capeggiato, per
esempio, dalla Nea Democratia di centrodestra, aprirebbe la
possibilità che Atene cerchi la pace alle condizioni richieste dalla
Trojka. Ma di questo non c'è alcuna garanzia.
La Trojka era certa, la
settimana scorsa, che Tsipras si sarebbe piegato davanti a un'offerta
finale di prendere o lasciare. Si sono sbagliati. Il Fondo, la BCE e
la Commissione Europea hanno fatto un errore di calcolo fatale e
adesso hanno perso il controllo degli eventi.
La decisione immediata per
la BCE era se tagliare i fondi di emergenza prima che il programma di
salvataggio del Paese finisca formalmente martedì. Saggiamente ha
scelto di non peggiorare ulteriormente le cose.
Nelle recenti settimane,
le banche greche sono state in grado di restare aperte solo perché
Draghi ha fornito fondi per compensare la fuga di capitali. Una volta
che la BCE chiuda questo salvagente, la Banca di Grecia dovrà
annunciare o una chiusura delle banche o il controllo sui capitali e
probabilmente entrambi.
La Germania appoggia
fortemente una fine immediata dell'ELA (emergency liquidità
assistance), sostenendo che i contribuenti nel resto dell'Europa non
dovrebbero venire ulteriormente esposti al rischio di un'uscita della
Grecia dalla moneta comune.
Ma la BCE è stata sempre
riluttante a prendere quella che sarebbe chiaramente una decisione
politica di aumentare la pressione sulle banche greche, ed ha
annunciato che continuerà a fornire fondi a livello dell'ultima
setttimana. In ogni caso, la Grecia ora è di fronte a una settimana
tumultuosa. Yanis Varoufakis, il suo ministro delle Finanze, non si è
espresso se vi saranno controlli sui capitali all'inizio
dell'attività finanziaria di lunedì, ma saranno inevitabili prima o
dopo per evitare assalti alle banche e - altrettanto importante - la
fuga di denaro dal Paese.
Il governo greco preparerà
anche piani per l'uscita dalla moneta unica. Tsipras e Varoufakis
dicono che questo non è né il loro desiderio né la loro
intenzione, ma se il risultato del referendum sostiene la proposta
del governo, è difficile vedere una qualsiasi alternativa. Cipro è
rimasta nell'euro dopo l'introduzione di controlli sul capitale, ma è
stato fatto con l'approvazione degli altri membri della moneta unica
e ha comportato il piegarsi a un programma di austerità.
Nel frattempo il gioco
delle accuse è cominciato. I creditori dicono che hanno offerto alla
Grecia un accordo che avrebbe assicurato futuri finanziamenti in
cambio di riforme e di tagli di bilancio che avrebbero affrettato la
ripresa economica del Paese. Lagarde ha detto che adesso non c'è più
niente sul tavolo e che la Grecia non deve aspettarsi che le stesse
condizioni siano disponibili dopo il referendum.
Tsipras ha detto che ciò
che era proposto dalla Trojka nel suo "ultimatum ricattatorio"
era "un'austerità severa e umiliante senza fine". Un
portavoce di Varoufakis ha dichiarato che il referendum significava
mettere fine a cinque anni di "watherboarding".
La posizione presa dalla
Trojka è stata malindirizzata ma inevitabile. La Grecia ha visto la
sua economia contrarsi del 25% negli ultimi 5 anni. Un quarto della
sua popolazione è senza lavoro. Ha sofferto un crollo di proporzioni
da Grande Depressione, eppure la Trojka ha continuato a domandare un
aumento di nuove tasse che succhieranno la domanda dall'economia,
soffocheranno la crescita e si sommeranno al peso del debito greco.
Se la Grecia fosse stata
fuori dall'euro, il consiglio dell'FMI sarebbe stato diverso. Il
Fondo avrebbe detto alla Grecia di svalutare la sua moneta. Avrebbe
detto ai creditori del Paese che avrebbero dovuto sopportare un
"haircut" per rendere sostenibili i debiti della Grecia.
Avrebbe giustificato a questo punto l'austerità domestica sulla base
che i benefici della svalutazione non venissero sperperati da
un'altra inflazione.
Questa opzione, però, non
è stata a disposizione della Grecia. Non può svalutare e i governi
europei fanno resistenza all'idea di un condono del debito. Così
l'unico modo in cui la Grecia può rendersi più competitiva è di
tagliare i costi, riducendo stipendi e pensioni.
Un'unione monetaria
completamente dispiegata ha gli strumenti per trasferire risorse da
una regione all'altra. Questo è ciò che succede ad esempio negli
USA o Regno Unito, dove le tasse più alte in aree prosperose sono
ridistribuite verso aree con crescita più lenta e disoccupazione
maggiore.
Ma l'euro è stato
costruito su linee differenti. E' stato permesso ai Paesi di unirsi
anche se era chiaro che avrebbero penato a competere con le nazioni
più performanti come la Germania. Un patto di stabilità e crescita
disegnato per assicurare un insieme comune di controlli di bilancio
era uno scadente sostituto per un'unione fiscale. Dall'inizio, era
ovvio che il solo meccanismo per un Paese che finisse in gravi
difficoltà sarebbe stato una dura austerità. La Grecia è il
risultato di quello che succede quando si permette alla politica di
ignorare l'economia.
Se la Grecia esce, l'idea
che l'euro sia irrevocabile è finita. Qualunque governo che in
futuro si trovi in difficoltà avrà l'opzione greca di svalutare
come alternativa a un' austerità senza fine. Non meno importante, i
mercati finanziari lo sapranno e monteranno la pressione sui Paesi
che appaiono vulnerabili. E' per questo che la Grecia rappresenta una
crisi esistenziale per l'eurozona.
Si risponderà che la
Grecia è un piccolo, insignificante Paese e che la moneta unica ha
difese molto migliori di quanto avesse negli ultimi momenti di acuta
crisi nell'estate del 2012. I diplomatici nella capitali europee
avevano proprio la stessa visione a fine giugno 1914.
Larry Elliot, capo
redattore per l'Economia
The Guardian
domenica 28 giugno 2015
traduzione di Piero Decleva