sabato 13 settembre 2014

TTIP non è un nipote di Topolino!

29 agosto 2014
 di Lino Santoro

TTIP non è un nipote di Topolino, ma un pesante attacco del neoliberismo alla democrazia.

La storia del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) è lunga. Inizia nel 1995 quando Henry Kissinger affermò che le condizioni sono propizie per la creazione di una North Atlantic Free Trade Area in grado di sostenere globalmente il principio del libero scambio fra Stati Uniti ed Europa. Nel 1998 USA e UE firmavano a Londra l’accordo per l’avvio della Transatlantic Economic Partnership (TEC) per armonizzare standard, regole e procedure verso una Trans-Atlantic Free Trade Area (TAFTA) nell’ambito della liberalizzazione del commercio mondiale come voluto dal World Trade Organization (Organizzazione mondiale del commercio ovvero WTO). Nel 2011 USA e UE decisero di riesumare il TEC al fine di stimolare la competitività dei Paesi nord-atlantici sui mercati internazionali. Il rapporto finale del TEC, pubblicato nel febbraio del 2013 era indirizzato a sostenere che un accordo globale che copra tutti i settori dell’economia sarebbe estremamente positivo. Tanto che nel luglio del 2013 ebbero inizio le trattative diplomatiche fra USA e UE per dar avvio al TTIP. La Commissione Europea avviò una serie di 100 incontri a porte chiuse con singole compagnie e lobbisti aziendali.

Le associazioni imprenditoriali di qua e di là dell’Atlantico premevano da tempo per un accordo per il commercio e gli investimenti che favorisse il grande capitale, mercantile e finanziario. Già nel 1995 venne istituito il Trans-Atlantic Business Dialogue fra gli amministratori delegati delle più potenti società di USA e UE al fine di far pressione a favore di una zona di libero scambio basata sulla deregolamentazione dei mercati, sia europei sia statunitensi.

Gli incontri del 2013 e quelli successivi del 2014 furono secretati ma i contenuti uscirono dalle chiuse stanze e cominciò la pressione di associazioni come Attac etc. per la libertà d’informazione.

Cosa rischiamo con il TTIP

Per capirci il TTIP non è stato concepito tanto per la riduzione delle tariffe sulle importazioni fra le due sponde atlantiche, che sono già sufficientemente basse, ma per abbattere le barriere normative che attualmente fissano dei limiti ai profitti realizzabili da società transnazionali, con l’eliminazione o la riduzione di standard sociali fondamentali e di normative ambientali, sanitarie e del lavoro.

Il percorso delle trattative continua a essere secretato dalla Commissione Europea. Ma i contenuti sviluppati dai gruppi di lavoro sono in realtà noti, grazie alla benefica fuga di notizie, anzi alla pubblicazione di interi documenti secretati, su alcuni siti di associazioni anti TTIP negli USA.

Obiettivi principali del TTIP sono l’apertura di nuovi mercati nel settore dei servizi pubblici, con l’intento di privatizzare settori chiave come la sanità e l’istruzione. Ma gli aspetti invero estremamente preoccupanti sono l’intenzione di conferire agli investitori stranieri il diritto di citare in giudizio i Governi sovrani davanti a tribunali arbitrali creati ad hoc per l’eventuale perdita di profitti conseguente a decisioni politiche finalizzate alla pubblica utilità. Questo strumento denominato ISDS (Investors-State Dispute Settlement: Risoluzione delle controversie fra stato e investitori) eleva il capitale transnazionale a uno stato giuridico equivalente a quello di uno Stato-nazione. Si tratta quindi di un attacco a tutto campo alle normative statali e alla legislazione primaria (regolamenti e direttive) europea ma anche alle norme e ai regolamenti federali e a quelli dei singoli Stati degli USA sotto la pressione delle multinazionali del capitale e della finanza (che ormai sono la stessa cosa). Sono sotto minaccia le normative su salute con l’introduzione di farmaci non sufficientemente testati per accontentare le multinazionali del farmaco, su sicurezza alimentare con l’apertura dei mercati europei a ingredienti geneticamente modificati nei prodotti alimentari e nei mangimi animali, a ridurre le restrizioni per l’uso di pesticidi attualmente vietati negli Stati dell’UE, all’uso di carni trattate con ormoni, all’impiego nell’industria di sostanze chimiche che attualmente il regolamento europeo di gestione delle sostanze chimiche REACH impedisce di utilizzare se non dopo un severo controllo sugli effetti sanitari ed ambientali. Se in base al TTIP fosse modificata la direttiva europea sulla qualità dei carburanti dagli USA arriverebbe in Europa il petrolio estratto dalle sabbie bituminose (tar sands) del Canada, e le multinazionali energetiche avrebbero spazio per estendere in Europa l’estrazione dello shale gas con la fratturazione idraulica (fracking). La battaglia per la difesa dei beni comuni troverebbe avversari con ingenti capitali pronti a impossessarsi dei sistemi sanitari, dell’istruzione, della ricerca, dei servizi idrici, imponendo le loro tariffe e trascinando nei tribunali arbitrali gli enti pubblici o gli Stati che si opponessero alle loro mire, tribunali facilmente orientabili grazie alle imponenti risorse messe in campo dalle multinazionali. Il capitolo del TTIP relativo ai diritti di proprietà intellettuale è volto a limitare i diritti delle comunità, per difendere i profitti delle imprese e per salvaguardare brevetti e marchi e per rafforzare il controllo delle corporation sull’informazione (es. dati relativi a studi clinici sui farmaci e sulle terapie) a spese dei cittadini europei e statunitensi


Una versione più estesa di questo articolo è disponibile sul sito di KONRAD

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