domenica 28 giugno 2015

La crisi greca può diventare la Sarajevo dell'eurozona



Oggi, 101 anni fa, colpi di pistola echeggiarono in una città dell'Europa del Sud. Pochi al momento prestarono molta attenzione alll'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdiando e sua moglie, mentre percorrevano le strade di Sarajevo.
Entro 6 settimane l'Europa era in guerra.

Non commettete l'errore, la decisione di Aleksis Tsipras di tenere un referendum sui termini del salvataggio richiesti al suo Paese, ha il potenziale di essere un momento come Sarajevo. Questa crisi non è semplicemente se ci sarà una corsa agli sportelli in Grecia il prossimo paio di giorni, anche se certamente ce n'è la minaccia. Non è semplicemente se i creditori hanno alzato troppo la posta nei negoziati, anche se l'hanno fatto. E' sul futuro dello stesso euro.

Si farà molto parlare nei prossimi giorni su come la Grecia possa essere messa in quarantena. Le tre persone che hanno condotto i negoziati per la Trojka - Christine Lagarde, del FMI, Jaen-Claude Juncker della Commissione Europea, e Mario Draghi della BCE - possono ancora attaccarsi alla speranza che Tsipras perda il referendum domenica prossima.

In queste circostanze, la coalizione capeggiata da Syriza, avrebbe poca scelta al di fuori di tenere nuove elezioni. Il ritorno di un governo capeggiato, per esempio, dalla Nea Democratia di centrodestra, aprirebbe la possibilità che Atene cerchi la pace alle condizioni richieste dalla Trojka. Ma di questo non c'è alcuna garanzia.

La Trojka era certa, la settimana scorsa, che Tsipras si sarebbe piegato davanti a un'offerta finale di prendere o lasciare. Si sono sbagliati. Il Fondo, la BCE e la Commissione Europea hanno fatto un errore di calcolo fatale e adesso hanno perso il controllo degli eventi.

La decisione immediata per la BCE era se tagliare i fondi di emergenza prima che il programma di salvataggio del Paese finisca formalmente martedì. Saggiamente ha scelto di non peggiorare ulteriormente le cose.

Nelle recenti settimane, le banche greche sono state in grado di restare aperte solo perché Draghi ha fornito fondi per compensare la fuga di capitali. Una volta che la BCE chiuda questo salvagente, la Banca di Grecia dovrà annunciare o una chiusura delle banche o il controllo sui capitali e probabilmente entrambi.

La Germania appoggia fortemente una fine immediata dell'ELA (emergency liquidità assistance), sostenendo che i contribuenti nel resto dell'Europa non dovrebbero venire ulteriormente esposti al rischio di un'uscita della Grecia dalla moneta comune.

Ma la BCE è stata sempre riluttante a prendere quella che sarebbe chiaramente una decisione politica di aumentare la pressione sulle banche greche, ed ha annunciato che continuerà a fornire fondi a livello dell'ultima setttimana. In ogni caso, la Grecia ora è di fronte a una settimana tumultuosa. Yanis Varoufakis, il suo ministro delle Finanze, non si è espresso se vi saranno controlli sui capitali all'inizio dell'attività finanziaria di lunedì, ma saranno inevitabili prima o dopo per evitare assalti alle banche e - altrettanto importante - la fuga di denaro dal Paese.

Il governo greco preparerà anche piani per l'uscita dalla moneta unica. Tsipras e Varoufakis dicono che questo non è né il loro desiderio né la loro intenzione, ma se il risultato del referendum sostiene la proposta del governo, è difficile vedere una qualsiasi alternativa. Cipro è rimasta nell'euro dopo l'introduzione di controlli sul capitale, ma è stato fatto con l'approvazione degli altri membri della moneta unica e ha comportato il piegarsi a un programma di austerità.

Nel frattempo il gioco delle accuse è cominciato. I creditori dicono che hanno offerto alla Grecia un accordo che avrebbe assicurato futuri finanziamenti in cambio di riforme e di tagli di bilancio che avrebbero affrettato la ripresa economica del Paese. Lagarde ha detto che adesso non c'è più niente sul tavolo e che la Grecia non deve aspettarsi che le stesse condizioni siano disponibili dopo il referendum.

Tsipras ha detto che ciò che era proposto dalla Trojka nel suo "ultimatum ricattatorio" era "un'austerità severa e umiliante senza fine". Un portavoce di Varoufakis ha dichiarato che il referendum significava mettere fine a cinque anni di "watherboarding".
La posizione presa dalla Trojka è stata malindirizzata ma inevitabile. La Grecia ha visto la sua economia contrarsi del 25% negli ultimi 5 anni. Un quarto della sua popolazione è senza lavoro. Ha sofferto un crollo di proporzioni da Grande Depressione, eppure la Trojka ha continuato a domandare un aumento di nuove tasse che succhieranno la domanda dall'economia, soffocheranno la crescita e si sommeranno al peso del debito greco.

Se la Grecia fosse stata fuori dall'euro, il consiglio dell'FMI sarebbe stato diverso. Il Fondo avrebbe detto alla Grecia di svalutare la sua moneta. Avrebbe detto ai creditori del Paese che avrebbero dovuto sopportare un "haircut" per rendere sostenibili i debiti della Grecia. Avrebbe giustificato a questo punto l'austerità domestica sulla base che i benefici della svalutazione non venissero sperperati da un'altra inflazione.

Questa opzione, però, non è stata a disposizione della Grecia. Non può svalutare e i governi europei fanno resistenza all'idea di un condono del debito. Così l'unico modo in cui la Grecia può rendersi più competitiva è di tagliare i costi, riducendo stipendi e pensioni.

Un'unione monetaria completamente dispiegata ha gli strumenti per trasferire risorse da una regione all'altra. Questo è ciò che succede ad esempio negli USA o Regno Unito, dove le tasse più alte in aree prosperose sono ridistribuite verso aree con crescita più lenta e disoccupazione maggiore.

Ma l'euro è stato costruito su linee differenti. E' stato permesso ai Paesi di unirsi anche se era chiaro che avrebbero penato a competere con le nazioni più performanti come la Germania. Un patto di stabilità e crescita disegnato per assicurare un insieme comune di controlli di bilancio era uno scadente sostituto per un'unione fiscale. Dall'inizio, era ovvio che il solo meccanismo per un Paese che finisse in gravi difficoltà sarebbe stato una dura austerità. La Grecia è il risultato di quello che succede quando si permette alla politica di ignorare l'economia.

Se la Grecia esce, l'idea che l'euro sia irrevocabile è finita. Qualunque governo che in futuro si trovi in difficoltà avrà l'opzione greca di svalutare come alternativa a un' austerità senza fine. Non meno importante, i mercati finanziari lo sapranno e monteranno la pressione sui Paesi che appaiono vulnerabili. E' per questo che la Grecia rappresenta una crisi esistenziale per l'eurozona.

Si risponderà che la Grecia è un piccolo, insignificante Paese e che la moneta unica ha difese molto migliori di quanto avesse negli ultimi momenti di acuta crisi nell'estate del 2012. I diplomatici nella capitali europee avevano proprio la stessa visione a fine giugno 1914.


Larry Elliot, capo redattore per l'Economia
The Guardian
domenica 28 giugno 2015
traduzione di Piero Decleva






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